La reazione “#freeze- #flight or #fight” è ciò che più mi ricorda quanto, nonostante ci siamo evoluti, qualcosa ci leghi ancora indissolubilmente alle nostre origini #ancestrali. A volte, senza neanche saperlo, siamo vittime di questi 3 comportamenti. Altre siamo i “carnefici” capaci, non volendo, di creare ambienti poco produttivi nei quali chiunque vorrebbe scappare, sparire nel nulla o attaccare e puntare il dito. Vediamo in cosa consiste il “freeze-flight or fight” con alcuni esempi e come allenarci per non esserne schiavi.

#Flight. Il tuo capo sta presentando una lunga serie di opportunità o “challenges” alle quali il team potrebbe andare incontro e tu vorresti piuttosto che la notizia di un meteorite, prossimo a sfiorare la terra, attirasse l’attenzione dell’umanità intera, per poterti defilare in grande stile e cambiare lavoro (magari mettendoti in proprio e facendolo da una spiaggia delle Maldive). O incontri casualmente la tua capa in un corridoio e ti dice che tra 5′ vorrebbe partecipassi ad una call fondamentale (per la quale non sei minimamente preparato). Allora tu maledici te stesso per aver percorso ogni singolo metro che ti ha casualmente portato in quel preciso posto di quel preciso momento e vorresti spiegargli che in realtà si è confusa, che tu non sei tu, ma che dopo 3 anni di smart working può capitare che si sbagli identità di una persona. Però no: è troppo assurdo, lo sai anche tu.

#Fight. Oppure sei in un meeting in cui la tensione si taglia col coltello. Allora tu, senza neanche rendertene conto, ti stai evolvendo nella versione peggiore di te che “Rocky scansate e spicciami casa”. Così, all’improvviso, la sala diventa un ring e dopo un’ora esci con la voglia di gridare “Adriana!!!”. Poi realizzi di non  aver concluso nulla e che l’agenda del meeting non è neanche stata aperta. E ti chiedi “ma come è successo?!”.

#Freeze. Oppure, durante una riunione, il riflettore si poggia su di te, che sei mentalmente altrove o che non hai la minima idea di cosa dover rispondere, perchè “devi dire si, instaurare delle relazioni produttive e serene, ma portare “a casa” il minor lavoro possibile per il team e far vedere che sei pronto/a a tutto, aperto/a alle sfide e che non hai altro da fare nella vita se non votarti alla tua azienda…magari tenendo un profilo basso ma sponsorizzando il lavoro che fai” e tu allora hai sentito di volerti nascondere, mimetizzarti con la cancelleria della sala riunione o – in versione sw- di voler essere vittima di un cyber attack per essere disconnesso da quel miserabile momento di auto-lesionismo, anche se “ma chi sono mai io per meritare l’attenzione di un hacker?”. Vorresti che la sedia ti risucchiasse e che qualcuno spoilerasse che ormai non serve più lavorare. Se ne può fare a meno, è passato di moda.

Bene: è importante sapere che tutto ciò è normale, estremamente e semplicemente normale. Succede, seppure con diverse sfumature di intensità, a tutti: dall’ultimo degli impiegati, al VP. Nulla ci lega più indissolubilmente alla parte primitiva della nostra evoluzione e nulla è in grado di creare un paradosso più potente di questo: siamo essere umani che si sono evoluti fino ad andare nello spazio, capaci di discutere di intelligenza artificiale. Eppure c’è una parte di noi che ci trascina con estrema forza alla dimensione più ancestrale. Questa “cosa” si chiama cervello rettiliano ed è la parte più antica del nostro cervello. Saperlo aiuta (1) noi stessi a cambiare le nostre reazioni, rendendole più adeguate ed attuali e (2) i leader a creare un clima che possa essere produttivo, quanto più possibile. Evitando di triggerare una reazione di fight-freeze o flight che potrebbe ricordare una delle scenette descritte sopra.

Vediamo come funziona. Il geniale Daniel Siegel ha definito un concetto meraviglioso: l'”hand model of the brain”.

Con una mano riesce a spiegare concetti fondamentali e complessi, in un modo intuitivo e fruibile da tutti noi. Qui un video per approfondirlo:

Il midollo spinale (identificato attraverso il polso nel modello di Siegel) è la parte del corpo che permette lo scambio di energia e delle informazioni tra corpo e cervello. Un layer del midollo spinale si chiama Lamina I ed è chiave affinchè questo flusso avvenga. E’ attraverso la Lamina I che diventiamo consapevoli degli stati interiori e viscerali del nostro corpo.

Il cervello rettiliano (identificato dal palmo della mano nel modello) è, come detto, la parte più antica del nostro cervello ed aiuta a monitorare e modulare le funzioni basilari del nostro corpo, come il battito cardiaco ed il respiro. Questa parte influenza anche il nostro livello di eccitazione (i.e. essere svegli, assonnati o addormentati). Qui risiendono anche le cellule responsabili di mediare la reazione agli stati di stress. Queste sono le risposte di “fight-flight-or-freeze” che vengono triggerate quando intravediamo un pericolo. Il cervello rettiliano lavora poi con la parte limbica, per influenzare/guidare i nostri stati emotivi. Sapere dell’esistenza di un cervello rettiliano, ci aiuta a capire cosa ci muove, come mai abbbiamo a volte determinate reazioni. Le persone potrebbero essere prese da stati basilari del tronco encefalico: intraprendere delle “guerre” con altri, scappare dalle sfide che potrebbero sembrare troppo grandi per le risorse a nostra disposizione, o bloccarsi in uno stato di completa mancanza di speranza. In questi casi le persone rischiano di essere dure con sè stesse o, da spettatrici, con gli altri, poichè non sono consapevoli di quanto sia radicato questo comportamento o di quanto sia facile innescarlo. Conoscere questi meccanismi ci potrebbe aiutare ad essere più gentili con noi stessi e a creare un ambiente più produttivo, che permetta alle persone di non incorrere in tali scenari. Usando il modello della mano di Siegel, possiamo capire quanto questa profonda e antica area sia alla base di tutto quello che fa il nostro cervello. La modalità “fight” nella quale incorriamo quando siamo con il pilota automatico, nasce dalla mancanza di integrazione tra il cervello rettiliano e la corteccia pre-frontale (che dovrebbe invece fornirci gli strumenti per identificare una risposta più razionale). Avere l’impulso di scappare quando siamo messi di fronte ad una sfida potrebbe semplicemente essere l’istinto di sopravvivenza ancestrale e nulla di più. Non è detto che serva davvero scappare (a volte potrebbe darsi). L’arma più potente che abbiamo è la consapevolezza (#awareness). La consapevolezza crea le condizioni per farci compiere delle scelte, per modificare le risposte automatiche che operiamo quotidianamente e che non sono per nulla funzionali alla nostra vita e al raggiungimento dei nostri obiettivi. Una volta identificati i pattern nei quali incorriamo, possiamo focalizzarci su nuovi modi di agire e costruire nuovi comportamenti – grazie alla neuroplasticità. Allora l’invito è quello di essere curiosi e aperti verso noi stessi, di riflettere su ciò che accade a livello sub-corticale e di cambiare quello che non va. Possiamo usare un meccanismo di override corticale per lasciare che i processi sub-corticali entrino ed escano dallo spazio della consapevolezza, senza seguire le loro direttive. Questo è il potere della #mente: cambiare il modo in cui il #cervello può aiutare le nostre vite.

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